29 ottobre, 2007

NON TUTTI GLI SCIOPERI SONO UGUALI

Prima Cgil, Cisl e Uil si accordano per abolire la scala mobile… e poi ci chiamano a scioperare per i salari!
Prima si accordano per rendere triennale la contrattazione... poi ci chiamano a scioperare per i contratti!
Prima acconsentono alle leggi (pacchetto Treu e Biagi) sul lavoro interinale e atipico e al rinnovo infinito dei contratti a termine.... poi ci chiamano a scioperare contro il precariato!!!

SCIOPERIAMO CONTRO TUTTI QUESTI ACCORDI TRUFFA
9 NOVEMBRE 2007
SCIOPERO GENERALE
CON MANIFESTAZIONI REGIONALI E PROVINCIALI


SCIOPERIAMO PER
· Il rinnovo dei contratti scaduti da 22 mesi, con aumenti adeguati al costo reale della vita e mantenendo la biennalità;
· Pensioni pubbliche e dignitose;
· L’assunzione a tempo indeterminato di tutti i precari pubblici;
· Aumento degli organici ed investimenti nella Pubblica Amministrazione contro ogni privatizzazione ed esternalizzazione di servizi e personale;
· l’allargamento dei diritti sindacali minimi, diritto di assemblea per i lavoratori e per tutte le organizzazioni.

14 ottobre, 2007

NO ALL’ACCORDO DEL 23 LUGLIO!

NO ALL’ACCORDO DEL 23 LUGLIO! Diminuiscono le pensioni Aumentano l’età pensionabile e la precarietà Andiamo a valutare nel merito i termini dell’accordo. L’età pensionabile per anzianità L’accordo sostituisce al famigerato scalone di Maroni (che sarebbe entrato in vigore l’1/1/2008) una serie di scalini. Rispetto alle attuali regole per il pensionamento di anzianità (57 anni di età e 35 di contributi), a partire dal 2008 l’età pensionabile sarà così aumentata: dall’1/1/2008 58 anni di età e 35 di contributi; dall’1/7/2009 59 anni di età e 36 di contributi (o 60 di età e 35 di contributi); dall’1/1/2011 60 anni di età e 36 di contributi (o 61 di età e 35 di contributi); dall’1/1/2013 61 anni con 36 di contributi (o 62 anni e 35 di contributi). Con 40 anni di contributi si andrà in pensione a prescindere dall’età (Prodi generoso come Maroni). Rispetto allo scalone di Maroni (che prevedeva per il pensionamento 60 anni di età e 35 di contributi dall’1/1/2008, 61 anni di età e 35 di contributi dall’1/1/2010 e 62 anni di età e 35 di contributi dall’1/1/2014) si guadagna qualcosa all’inizio, ma poi addirittura si peggiora la situazione con l’anticipazione al 2013 dell’obbligatorietà dei 62 anni qualora si abbiano solo (!) 35 anni di contribuzione. Molti/e lavoratori/trici avevano votato il centrosinistra con la speranza che cancellasse lo scalone di Maroni e mantenesse almeno la situazione attuale. Il programma dell’Unione parlava di superamento della Maroni, in realtà, con l’accordo del 23 luglio, ne viene fuori una semplice riverniciatura. L’età pensionabile per vecchiaia Resta invariata: 65 anni per gli uomini e 60 per le donne, nonostante la forsennata campagna condotta da varie forze politiche ed economiche, sollecitata dall’Unione Europea, capeggiata in Italia dalla Bonino, per l’elevamento dell’età pensionabile per le donne. Ma attenzione: adesso, qualora passi l’accordo del 23 luglio, diverrà molto più facile procedere a passo di carica in tale direzione, perché i sostenitori dell’innalzamento dell’età faranno leva comunque sull’”incongruenza” per cui l’età pensionabile per vecchiaia per le donne risulterà essere più bassa di quella per anzianità
Le finestre di uscita Attualmente si va in pensione 4 volte l’anno; ci sono infatti le cosiddette finestre di uscita collocate il 1° gennaio, 1° aprile, 1° luglio, 1° ottobre; Maroni le diminuiva da 4 a 2, al 1° gennaio e 1° luglio di ogni anno. Questo è un cambiamento di non poco conto. Con le 4 finestre in vigore, se uno arriva all’età pensionabile entro il 31 marzo, può andare in pensione dal 1° luglio, allungando la propria attività lavorativa di 3/6 mesi; con le due finestre può andare in pensione solo a partire dal 1° gennaio dell’anno successivo, con l’obbligo di restare ulteriormente al lavoro per un periodo compreso tra 9 mesi ed un anno. Con l’accordo del 23 luglio, il mantenimento delle 4 finestre solo per coloro che hanno 40 anni di contributi viene pagato dall’introduzione delle finestre anche per il pensionamento di vecchiaia (finora si va in pensione a partire dal primo del mese successivo a quello in cui si sono compiuti i 65 anni se uomini, i 60 se donne), con l’allungamento effettivo dell’età pensionabile per vecchiaia di 3/6 mesi. Mentre invece per tutti/e gli/le altri/e (la grande maggioranza) le finestre (come prevede la Maroni) passano da 4 a 2. La revisione dei coefficienti di trasformazione Con la controriforma Dini del ’95 si passa dal retributivo al contributivo. Cioè per i nuovi assunti e per coloro che hanno al 31/12/’95 meno di 18 anni di anzianità contributiva –oggi ormai la grande maggioranza dei lavoratori attivi- è valso un nuovo metodo di calcolo della pensione. Le pensioni per costoro non saranno più pagate dai contributi versati dai/dalle lavoratori/trici attivi/e e calcolate in percentuale sulla media degli ultimi anni di stipendio percepiti (grosso modo attorno al 70-80% del salario), ma saranno loro stessi/e con i propri contributi versati a pagarsi individualmente la futura pensione; questi contributi, rivalutati secondo gli indici Istat, moltiplicati per un numeretto (il cosiddetto coefficiente di trasformazione) determinano l’ammontare della pensione (ipotizzabile attorno al 60% dell’ultimo stipendio per quelli con il sistema misto, dal 45-50% in giù per i neoassunti dal ’96 in poi). Ma non è finita, perché per la legge Dini questo coefficiente è legato alle future aspettative di vita; se la durata della vita media si allunga -e ciò per fortuna è avvenuto- ogni dieci anni questo coefficiente deve essere adeguato, cioè dovrà essere rivisto verso il basso e ciò comporterà una riduzione secca delle pensioni. La revisione sarebbe dovuta avvenire nel 2005, ma Berlusconi furbescamente ha lasciato perdere, rimandandola all’entrata in vigore della Maroni e di fatto passando la mano al nuovo governo. Prodi invece no, anzi addirittura, da decennale che era, la revisione, con l’accordo del 23 luglio, diviene triennale. Perciò se, con la riforma Dini avremmo avuto due revisioni decennali dei coefficienti entro il 2016, ora, a quella data avremo ben tre revisioni (2010 – 2013 – 2016). Infatti, secondo il nuovo accordo, dal 2010 ogni tre anni saranno automaticamente rivisti al ribasso i coefficienti, così le pensioni (soprattutto quelle dei più giovani calcolate col metodo contributivo) subiranno una prima diminuzione del 6-8%. Già sono scritte le tabelle con i nuovi coefficienti che entreranno in vigore a partire dall’1/1/2010; altro che trattative in corso, come vogliono illudere Cgil-Cisl-Uil; la commissione istituita all’uopo è solo uno stantio specchietto per le allodole. Insomma si tratta di una sorta di scala mobile al contrario, che, come una mannaia, falcidierà le future pensioni, altro che provare a spacciare che dovranno trovarsi “meccanismi di tutela delle pensioni più basse e di proporre meccanismi di solidarietà e di garanzia (che potrebbero portare indicativamente il tasso di sostituzione…non inferiore al 60%)” (pag. 13 del protocollo); tali fumisterie possono solo soddisfare i velleitarismi di Rifondazione, che si vanta di aver mitigato con questa vuota formuletta il taglieggiamento delle future pensioni dei più giovani, progressivamente ridotte a circa un terzo degli ultimi stipendi percepiti. I coefficienti a confronto Età “Riforma Dini” (L. 335/’95) Accordo 23/07/2007 57 4,720 4,419 58 4,860 4,538 59 5,006 4,664 60 5,163 4,798 61 5,334 4,940 62 5,541 5,093 63 5,706 5,257 64 5,911 5,432 65 6,136 5,620 Lavori usuranti Anche in questo caso siamo alla beffa. Da una parte si concede di andare in pensione tre anni prima, comunque a non meno di 57 anni inizialmente e successivamente a 58 e poi 59 anni, ed in più si allarga la platea dei lavori usuranti che ad oggi comprende circa 1.400.000 lavorator (ai precedenti 362.000, elencati nel decreto Salvi del ’99, si aggiungono gli addetti alla catena, ai turni di notte, i conducenti di mezzi pubblici pesanti); dall’altra si stabilisce che, poiché si è vincolati alle compatibilità economiche, non potranno esserci più di 5.000 pensionamenti all’anno (per un totale di 50.000 nei prossimi 10 anni). Del resto sono stati stanziati solo 252 milioni di euro annui. Secondo tale logica occorrerebbero 280 anni per mandare in quiescenza 1.400.000 lavoratori usurati. I conti dell’INPS e l’aumento dei contributi previdenziali Rimane ancora disapplicata, dopo circa 20 anni, la legge che separa la previdenza dall’assistenza; per cui sull’INPS continuano impropriamente a gravare spese di tipo assistenziale (indennità di disoccupazione, integrazioni al minimo pensionistico, cassa integrazione,…) che andrebbero invece caricate sulla fiscalità generale. Anche quest’anno l’INPS registra nel saldo tra entrate ed uscite previdenziali un attivo di circa 4 miliardi di euro, nonostante ammontino a 35 miliardi di euro i crediti già accertati e non versati dalle aziende e a 40 miliardi i contributi evasi ogni anno. Da precisare che lo 0,30 per cento di aumento dei contributi a carico dei/delle lavoratori/trici scattato da gennaio con l’ultima Finanziaria non è servito a rimpinguare il bilancio di INPS, INPDAP, etc…, ma semplicemente a far cassa per risanare il bilancio dello stato. Non contento, il governo Prodi torna alla carica e, per sostenere il costo della sua “riforma”, prevede nei prossimi anni un risparmio di 360 milioni di euro dalla razionalizzazione (?) degli enti previdenziali; se ciò non avverrà, ed è facile prevedere che sarà così, scatterà dall’1/1/2011 un ulteriore aumento dello 0,09% dei contributi previdenziali versati dai/dalle lavoratori/trici. Aumento delle pensioni minime E’ il vanto di Prodi, come a suo tempo (2001) di Berlusconi. Gli aumenti riguardano solo 3.050.000 pensionati , con più di 64 anni e che non superino di 1,5 volte il reddito lordo annuo di 8.504,73 euro; cioè coloro che percepiscono sotto i 655 euro mensili, meno del 20% dei pensionati. Per il 2007 l’aumento annuo lordo sarà di 392 euro che diventeranno 504 (38,76 al mese) dal 2008 per coloro che hanno versato contributi per oltre 25 anni; 327 euro per il 2007 e 420 (32,30 al mese) dal 2008 per coloro che hanno versamenti contributivi tra i 15 e 25 anni; 262 euro per il 2007 e 336 (25,85 al mese) dal 2008 per coloro che hanno versamenti contributivi fino a 15 anni. Per le pensioni sociali (assistenziali) si prevede un incremento di 12 euro mensili per 290.000 anziani e anziane, per arrivare ad un totale di 580 euro mensili L’aumento per le minime consiste praticamente in un caffè al giorno; insomma una miseria, ma anche la miseria ha le sue gerarchie, infatti c’è da sottolineare che l’aumento è inversamente proporzionale al reddito del pensionato. Per le pensioni sociali siamo invece alla possibilità di acquistare un cappuccino ogni 3 giorni. Sembra andar meglio per la rivalutazione delle pensioni basate su versamento di contributi (quindi ancora una volta esclusi/e i/le pensionati/e sociali e assistenziali, veri e propri paria sociali); l’indicizzazione delle pensioni da 3 a 5 volte il minimo (da 1.308 a 2.180 euro mensili) passa dall’attuale 90% (sull’inflazione ufficiale calcolata dall’ISTAT) al 100%. Ma ciò avverrà solo per tre anni; dal 2011 si ritorna all’attuale 90%. Tale è il grande aumento per i/le pensionati/e che, nell’80% dei casi, vivono con meno di 1.000 euro al mese e con il problema non della quarta, ma della terza settimana. Ogni commento è superfluo. I contributi dei “giovani” “Per i giovani che sono nel sistema contributivo sarà possibile cumulare tutti i contributi maturati in qualsiasi gestione pensionistica.” Recita Pinocchio (Cgil-Cisl-Uil). Il protocollo prevede: “In previsione di una più ampia riforma della totalizzazione che riassorbisca e superi la ricongiunzione, si attueranno interventi immediati che assicureranno ai lavoratori l’utilizzabilità dei contributi versati”. Scrive Pantalone (Confindustria governo e sindacati). Al di là del fatto che i contributi figurativi vengono previsti per il solo periodo in cui si percepisce l’indennità di disoccupazione, di quali contributi si sta parlando e versati da chi? E che cosa hanno perso nel frattempo giovani lavoratori/trici precari/e? Chiediamolo, ad esempio, agli addetti dei call center che si sono visti costretti testualmente a firmare (con l’avallo di Cgil.Cisl e Uil), all’atto di un’assunzione dovuta , (come stabilito chiaramente nel famosissimo verbale di ispezione di Atesia del 22.08.06 con le relative violazioni amministrative e penali riscontrate per lor signori): “Il/la sottoscritto/a…….. rinuncia a formulare nei confronti dell’azienda qualunque azione di carattere giudiziale e non, per qualsiasi titolo o ragione o causa comunque connessa con il rapporto di lavoro a progetto intercorso, ivi comprese, [….. ] quelli aventi ad oggetto il riconoscimento della natura subordinata del rapporto di lavoro a progetto intercorso e/o la rivendicazione delle connesse differenze retributive dirette, indirette o differite ….”. Non solo sono stati costretti a rinunciare al salario diretto dovuto (parliamo di migliaia e migliaia di euro per addetto) a tutto-profitto dei padroni, ma il costo della contribuzione indiretta grazie al famosissimo art.176 della finanziaria ammazzaprecari del 2006 è stato scontato a lor signori, ricadendo interamente sulle casse dell’INPS con lo stanziamento di 300 milioni di euro per ciascuno degli anni 2008 e 2009. Cioè si è stanziato di più l’anno scorso per condonare i padroni che, dal 2008, per i lavori usuranti. “Parasubordinati” Ovvero altri/e lavoratori/trici precari/e per i quali è stato previsto l’aumento della aliquota previdenziale di 3 punti percentuale, ma senza definire la quota a carico dei padroni. Il che potrebbe significare che l’aumento della quota potrà incidere sul già magro reddito del/la precario/a. Quindi considerando che non è stato affatto stabilito chi deve pagare e che i 3 punti di aumento in percentuale complessivamente rappresenteranno un introito maggiore per le casse dello stato della “sospensione per un anno dell’indicizzazione per le pensioni superiori a 8 volte il minimo”, possiamo con certezza affermare che ancora una volta è stato rubato ai poveri per dare ai ricchi! Contratti a termine che non …terminano. Viene prevista l’estensione oltre i 36 mesi (anche non continuativi e nella stesa azienda) del contratto a termine che sarà una pesante ipoteca rispetto ai contratti collettivi in scadenza e futuri. La Legge 30, ben lungi dall’essere abrogata o anche solo parzialmente messa in discussione (ma c’era qualcuno che ci credeva veramente?), viene qui inglobata ed esaltata, di fatto e di diritto. Il vincolo della ratifica, in sede di Direzione Provinciale del Lavoro con un rappresentante sindacale, dell’estensione della durata dei contratti a termine –praticamente all’infinito- non solo non costituisce una garanzia per il/la lavoratore/trice sotto ricatto, ma è anche uno strumento per impedire qualsiasi possibile futura vertenza legale, perché la loro condizione lavorativa precaria sarà avallata dall’”assistenza sindacale”, e quindi, per definizione, non impugnabile. Inoltre, non viene fissato un tetto massimo di percentuale di assunzione a termine e tutto è demandato alla contrattazione collettiva. E, come se ciò non bastasse, viene sancito che “le assunzioni a termine per attività stagionali, per ragioni sostitutive e quelle connesse alle fasi di avvio di attività d’impresa sono escluse dai limiti massimi percentuali ove fissati dai contratti collettivi nazionali stipulati dai sindacati comparativamente più rappresentativi” (p.21). Cioè, con buona pace dei confederali, per una buona parte delle esigenze produttive! Quindi potremo avere aziende con manodopera totalmente precaria. Lavoro a chiamata Fino ad ora sono stati chiamati 500 lavoratori/trici in tutto. Quindi non è costato nulla prometterne l’abolizione. Si è aggiunta però la proposta di inserire forme di “part-time” brevi, sempre a …. chiamata! Staff leasing Il contratto di somministrazione di forza lavoro anche a tempo indeterminato (una sorta di lavoro interinale infinito), detto staff leasing, era uno dei punti irrinunciabili, la cui cancellazione era pregiudiziale per Cgil-Cisl-Uil. Ovviamente, nell’accordo del 23 luglio, è rimasto e sarà ulteriormente incentivato, poiché parecchio richiesto dalle medie e grandi imprese ed anche dalla Pubblica Amministrazione. Part-time. Non viene assolutamente abolita la flessibilità introdotta dalla legge 30, la possibilità di dire “NO” alle clausole di flessibilità viene demandata alla contrattazione collettiva. Mentre per i/le lavoratori/trici impegnati/e in “motivati compiti di cura” sono previsti accordi individuali. Irrisorio il tetto delle 12 ore per disincentivare l’abuso del part time. Contratto di apprendistato ed inserimento Tutto confermato per l’apprendistato, visto il suo recente grande rilancio e prolungamento (come si ricava anche dall’ultimo contratto dei metalmeccanici, che ne allunga i termini e ne abbassa le garanzie per i/le lavoratori/trici); in più governo Prodi, Confindustria e Cgil-Cisl-Uil si impegnano a “definire standard nazionali dei profili professionali e dei percorsi formativi, anche al fine di agevolare la mobilità geografica degli apprendisti”. Oltre che apprendisti, da adesso anche mobili. Resta uguale a prima il contratto d’inserimento che riguarda i giovani da 18 a 29 anni, i disoccupati di lunga durata da 29 a 32 anni, i senza lavoro con più di 50 anni. E’ una vera manna per le imprese che lo utilizzano perché inquadrano gli/le assunti con questo tipo di contratto a due livelli inferiori a quello effettivamente spettante, in più godono di forti sconti sui contributi previdenziali e assistenziali. Le lavoratrici Le donne sono statisticamente le più povere e le meno retribuite anche in Italia. Non solo. Lavorano di più perché hanno sulle proprie spalle i lavori di “cura domestica, funzionali alla diminuzione del costo del salario complessivo e al risparmio delle spese sociali. Valgono ben poco i palliativi di “iniziative connesse a servizi per l’infanzia e l’anzianità”, di fronte all’ennesima regalia che viene fatta ai padroni con gli sgravi contributivi per le assunzioni nel Mezzogiorno e le flessibilità d’orario. E, come se non bastasse, anziché garantire veramente alle lavoratrici la possibilità di scegliere liberamente il proprio “ruolo” nella famiglia, si incentiva per loro il lavoro “part time”. Decontribuzione degli straordinari e detassazione del salario accessorio. Sono un vero regalo alle imprese in termini economici! Più straordinari e meno assunzioni. Più profitti padronali, più sfruttamento e meno diritti e qualità del lavoro. La foglia di fico della “pensionabilità” del salario accessorio è un inganno, considerando che questo è sostanzialmente alla mercè delle decisioni padronali. E la “defiscalizzazione” sarà sostanzialmente un’ulteriore agevolazione per lor signori che guadagneranno una media di 250 euro “ad personam” mentre per il/la lavoratore/trice viene calcolata una media di 90 euro. Inoltre, concentrando l’attenzione e gli eventuali aumenti sulla parte flessibile, variabile e aziendale del salario, si concede ampio spazio ai padroni per proseguire nell’attacco e nella demolizione del contratto nazionale di lavoro, che, in questa fase, è uno dei loro obiettivi principali. La riforma degli ammortizzatori sociali Due i punti cardine: “armonizzazione” della disoccupazione ordinaria e del trattamento di mobilità, per arrivare all’unificazione dei trattamenti; unificazione della Cassa Integrazione ordinaria e straordinaria. Viene prevista l’estensione temporale (da 6 a 8 mesi per tutti, da 9 a 12 mesi per gli over 50 anni) del trattamento di disoccupazione ordinaria e l’aumento dell’assegno (60% dell’ultima retribuzione per i primi sei mesi, poi il 50% e infine il 40% a scalare). Perché tanta grazia? Se le parole hanno un senso, armonizzare significa elevare il più basso ed abbassare il più alto, quindi attendiamoci pure a breve un notevole ridimensionamento del trattamento di mobilità, fino appunto ad “unificarlo” con la disoccupazione ordinaria. Nel protocollo non è ancora detto nero su bianco, ma è la logica e inevitabile conseguenza di quanto affermato. Il trattamento di disoccupazione sarà quindi il vero ammortizzatore sociale del futuro, che tendenzialmente ingloberà o –per usare un termine caro ai ministri di questo governo– “supererà” tutti gli altri. E questo lo si evince anche dal capitolo relativo alla “integrazione al reddito” (pag. 17) dove, annunciando l’unificazione di Cigo e Cigs, si prefigurano come impellenti e inevitabili numerosi processi rilevanti “eccedenze di mano d’opera”, per cui il problema principale sarà “la partecipazione attiva delle aziende nel processo di ricollocazione dei lavoratori, avendo come principali riferimenti il territorio, gli strumenti di concertazione.., la capacità di mobilitare risorse…..”. Vi ricordate il tentativo –non riuscito– di Berlusconi di “allineare” i/le lavoratori/trici in cassa integrazione straordinaria a quelli in mobilità proiettandoli verso il reimpiego coatto e quindi buttandoli fuori dalla fabbrica di provenienza? Qui siamo già oltre il semplice tentativo, per cui non solo per i padroni sarà più semplice utilizzare questi strumenti senza troppi controlli e verifiche sulla rotazione o sulle politiche aziendali, ma si afferma chiaramente che ad ogni dichiarazione di esuberi dovrà naturalmente seguire una disponibilità al reimpiego in altri lidi dei/delle lavoratori/trici interessati/e. Per i/le quali occorrerà “rendere effettiva la perdita della tutela in caso d’immotivata non partecipazione ai programmi di reinserimento al lavoro o di non accettazione di congrue opportunità lavorative” (pag 16). Lavoratori e lavoratrici immigrati/e Non c’è praticamente nulla, tranne un generico impegno a stipulare convenzioni con i Paesi d’origine, per permettere a lavoratori/trici immigrati/e di percepire un giorno la pensione, ma il tutto è subordinato alle solite compatibilità finanziarie. Per cui è facile prevedere che gli/le immigrati/e regolarmente assunti/e continueranno a versare i contributi all’INPS e a non percepire la pensione. Ci sono quindi miliardi di motivi per dire NO Dall’8 al 10 ottobre Cgil-Cisl-Uil hanno indetto una consultazione sugli accordi del 23 luglio. Sarà una consultazione truccata; Cgil-Cisl-Uil hanno deciso che i sostenitori del no non avranno spazio, quando si tratterà di illustrare l’accordo nelle assemblee, in cui gli interventi introduttivi saranno obbligatoriamente a favore dell’accordo; né i sostenitori del no potranno controllare i risultati delle votazioni, che in tanti casi si terranno nelle sedi territoriali di Cgil-Cisl-Uil). Nonostante e contro questa truffa, invitiamo lavoratori e lavoratrici, precari, pensionati ed immigrati ad esprimere in tutti i modi possibili il loro rifiuto, la loro contrarietà, il loro NO all’accordo del 23 luglio. Usiamo le assemblee in corso, interveniamo nei luoghi di lavoro e sui territori per propagandare le ragioni del NO. Ma la mobilitazione va ben oltre la consultazione dell’8-10 ottobre. L’accordo del 23 luglio non è in vigore; per divenire tale deve essere trasformato in legge attraverso un collegato alla Finanziaria 2008. Per cui la lotta è solo all’inizio. Costruiamo nei posti di lavoro, nei territori, nel Paese, le condizioni per la migliore riuscita dello SCIOPERO GENERALE E GENERALIZZATO VENERDI’ 9 NOVEMBRE per cancellare l’accordo del 23 luglio, lo scalone di Maroni, la Legge 30 e il Pacchetto Treu, per la difesa del TFR, per il diritto dei lavoratori iscritti di uscire dai Fondi pensione

Arrivano le elezioni RSU...

Si avvicinano le elezioni per il rinnovo della RSU e, come da rituale, siamo inondati da materiali e volantini sindacali d’ogni tipo.
E’ veramente singolare che proprio ora, organizzazioni sindacali aziendali che non hanno mai prodotto informazione sindacale, che non si sono mai distinte nella critica alle scelte dell’Amministrazione, oggi si scoprono improvvisamente attive e combattive come non mai, improvvisamente desiderose di comunicare con quei lavoratori che hanno la pretesa di rappresentare.
Dunque si è aperto il “tutti contro tutti”. Ognuno spara la promessa più grossa, per l’uno o per l’altro reparto, per un’area o categoria piuttosto che per un’altra.
DIFFIDIAMO di chi ci dice “noi siamo gli unici” che possiamo rappresentare gli interessi della tua categoria: fare leva su egoismi, su rivalità e competizione tra i lavoratori e lavoratrici serve solo a dividerci e a rafforzare la controparte.
DIFFIDIAMO di chi tira il sasso ma puntualmente ritrae la mano e rientra nei ranghi delle compatibilità.
DIFFIDIAMO di quelle organizzazione sindacali che con i loro comportamenti hanno azzerato in questi anni il livello di partecipazione creando distacco e sfiducia tra il personale.
Noi Cobas riteniamo che vada ricostruito un meccanismo di partecipazione nei posti di lavoro, intrecciando le specifiche questioni di ufficio (sicurezza, salario accessorio, diritti), con le vertenze di carattere generale per contrastare le politiche concertative attuate da CGIL, CISL, e UIL che hanno indebolito il potere contrattuale e salariale dei lavoratori pubblici.
Non ci interessa divenire professionisti della trattativa, o sindacalisti di mestiere, poiché riteniamo che debbano essere le assemblee dei lavoratori, e non le segrete stanze della trattativa, il luogo ove prendere decisioni.
Per questo motivo, consideriamo la lista COBAS come uno strumento per far riprendere voce ai lavoratori direttamente e senza deleghe.
Noi Cobas vogliamo rilanciare il ruolo delle RSU e della contrattazione, non in funzione della gestione del potere a livello di singolo ufficio, ma al contrario come strumento per rilanciare la partecipazione dei lavoratori ai processi decisionali.
E’ questo il motivo per cui diamo la possibilità di presentare liste Cobas Pubblico Impiego a tutti quei lavoratori che vogliono impegnarsi su contenuti che restituiscano dignità e protagonismo alla categoria, e rilancino la funzione sociale della Pubblica Amministrazione.

SOTTOSCRIVI, PRESENTA E VOTA LISTE COBAS!