16 agosto, 2011

La devastante manovra economica di agosto

Eravamo appena rimasti “tramortiti” dalla manovra ultima di luglio che è arrivata, ben più pesante, quella di agosto. Per andare incontro alla crisi finanziaria internazionale, al crollo delle borse, ai diktat dei banchieri e delle grandi imprese e su ordine espresso della BCE, il ministro Tremonti, Berlusconi e il governo, con l’obiettivo del fatidico pareggio di bilancio, hanno partorito una manovra-monstre che è di 25,7 miliardi nel 2012 sino ad arrivare nel 2013 a 49,8 miliardi di euro, suscitando la condivisione dei vertici economici europei, il “”grande apprezzamento” della cancelliera tedesca Merkel, la sottoscrizione del decreto del Presidente Napolitano e il nullismo politico della sedicente “opposizione” parlamentare, con gli annessi sindacati governativi. La manovra è una babele di tagli generalizzati a partire dai 6 miliardi nel 2012 e di 2,5 nel 2013 nei Ministeri sino ai 6 miliardi nel 2012 e di 3,5 nel 2013 negli Enti Locali. Il pagamento del TFR per i lavoratori (per le uscite di anzianità, non di vecchiaia) sarà posticipato a 24 mesi (non più 6), senza interessi. Le tredicesime dei lavoratori, nelle amministrazioni che non rispettano gli obiettivi di riduzione della spesa, saranno a rischio. Con l’alibi della riduzione dei costi si procede all’eliminazione dei piccoli comuni sotto i 1000 abitanti e di una trentina di Province (sotto i 300 mila abitanti), senza prevedere chi debba avere le attuali competenze di questi enti, che in genere sono sovra-comunali, il cui risparmio riguarderebbe esclusivamente il taglio della classe politica, ma che sarebbe prontamente sostituita da esosi manager pubblici e/o privati e sarebbe un'ulteriore giustificazione alla privatizzazione di fornitura di beni e servizi, con le competenze oggi spettanti alle province, in materia di formazione professionale e lavoro, privatizzate, con temi come la sorveglianza ambientale o dell'edilizia scolastica accantonati, così come la manutenzione delle strade, dei boschi e del territorio e con la mobilità forzata dei dipendenti stessi. Vengono inoltre soppressi gli enti pubblici non economici con meno di 70 unità.

Vengono annullate e spostate alla domenica festività significative e di lotta del 25 aprile, 1° maggio e 2 giugno, per aumentare la “produttività” nazionale. A partire dal 2016 sale l’età per la pensione di vecchiaia per le donne che salirà a 65 anni nel 2027. Viene applicato anche nella scuola, come era già stato deciso per le altre amministrazioni pubbliche, la cosiddetta finestra mobile per la pensione con l’uscita ritardata di 12 mesi a decorrere dal raggiungimento dei requisiti d’età. I servizi pubblici locali a rilevanza economica, alla faccia del voto referendario, saranno privatizzati. Per favorire questo processo, saranno premiate (stanziati 500 milioni di euro) quelle amministrazioni locali che venderanno le proprie quote azionarie.

E la tassazione dei redditi invece di toccare veramente i patrimoni (per esempio quelli superiori ai 5 o ai 10 milioni di euro) e le grandi rendite finanziarie si limita a una tassa di solidarietà modesta sui redditi oltre i 90 e i 150 mila euro per 3 anni, mentre invece la manovra colpisce ancora una volta i ceti medi e la sbandierata lotta all’evasione fiscale rimane lettera morta.

E dulcis in fundo, come spiegato da Sacconi in conferenza stampa, l’estensione erga omnes, retroattivamente, degli accordi Fiat che si collega direttamente a quanto previsto dal patto interconfederale del 28 giugno, con la ”novità” della prevalenza dei contratti aziendali su quelli nazionali e la rappresentanza sindacale “sancita” dalla maggioranza delle RSU o delle RSA e con l’annunciato pericolo di cambiare pesantemente lo Statuto dei Lavoratori, rimettendo nelle mani dei sindacati complici e dei padroni le tutele prima previste dallo stesso Statuto.

Questi i provvedimenti più odiosi della manovra ferragostana ma è chiaro che essendo una manovra “in progress” solo la pubblicazione del decreto darà una risposta definitiva sulla sua micidiale portata.

La Confederazione Cobas, a partire da settembre, metterà in campo tutte le iniziative di mobilitazione necessarie per rispedire al mittente questa famigerata manovra.

CONFEDERAZIONE COBAS

29 maggio, 2011

In difesa del Part Time nel Pubblico Impiego

In questi anni molte impiegate nella Pubblica Amministrazione, per poter conciliare i tempi di vita con quelli lavorativi, hanno optato per il part time. Le motivazioni sono le più svariate, nella società italiana (le statistiche lo confermano) il peso della famiglia ricade principalmente sulle donne che riducono l'impegno lavorativo per accudire figli e anziani. Nei mesi scorsi, il decreto legislativo n. 183 del 2010, detto “collegato lavoro”, è intervenuto su alcune materie della Pubblica Amministrazione prevedendo che entro il 23 Maggio prossimo le singole Amministrazioni possono decidere di revocare i part time, invocando presunti principi di correttezza e buona fede. Forse il personale a part time è meno corretto di quello a tempo pieno o dei signori parlamentari che hanno approvato quella porcata di legge? E molti Enti non hanno a lungo approfittato del part time per ridurre la spesa del personale ed entrare nei patti di stabilità? E infine, perché costringere a lavorare a tempo pieno personale da anni con orario ridotto per comprovate e legittime esigenze non risolvibili in altro modo? E’ inutile rivolgere queste domande agli Enti o al Governo, che dietro la limitazione del part time celano non solo una riduzione dei diritti, una decisione che si ripercuote negativamente soprattutto sulle donne, ma anche un atto arbitrario per occultare l’impossibilità di tanti Enti pubblici di far fronte altrimenti all'aumento dei carichi di lavoro, da una parte, e l’occasione d’oro di altri Enti di ridurre l’organico di tante unità quanti sono i dipendenti impossibilitati a passare a orario pieno, dall’altra. Giù le mani dal part time!
Cobas Pubblico Impiego www.pubblicoimpiego.cobas.it pubblicoimpiego@cobas.it Sede nazionale: Viale Manzoni, 55 - 00185 Roma Tel. 0677591926 - 0670452452 Fax 0677206060

17 Marzo: dalla beffa alla truffa!

I Cobas ,nelle settimane scorse , avevano inviato numerose lettere agli Enti locali e alle amministrazioni centrali inerenti la festività de 17 marzo 2011 ma in soccorso del Ministro Brunetta e dei datori di lavoro è arrivato il solerte legislatore. Infatti.....
 
Art. 1
1.  Limitatamente all'anno 2011, il giorno 17 marzo è considerato giorno festivo ai sensi degli articoli 2 e 4 della legge 27 maggio 1949, n. 260.
2.  Al fine di evitare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica e delle imprese private, derivanti da quanto disposto nel comma 1, per il solo anno 2011 gli effetti economici e gli istituti giuridici e contrattuali previsti per la festività soppressa del 4 novembre o per una delle altre festività tuttora soppresse ai sensi della legge 5 marzo 1977, n. 54, non si applicano a una di tali ricorrenze ma, in sostituzione, alla festa nazionale per il 150° anniversario dell'Unità d'Italia proclamata per il 17 marzo 2011 mentre, con riguardo al lavoro pubblico, sono ridotte a tre le giornate di riposo riconosciute dall'articolo 1, comma 1, lettera b), della legge 23 dicembre 1977, n. 937, e, in base a ! tale disposizione, dai contratti e accordi collettivi. (3)
3.  Dall'attuazione del presente decreto non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.
 
(3) Comma così modificato dalla legge di conversione 21 aprile 2011, n. 47
 
La legge di conversione, esplicitamente riduce a 3 le giornate di riposo di cui alla legge n. 937/1977 e così chiude la partita ovviamente a danno ai lavoratori.  Quanto da noi dichiarato e scritto, ironia della sorte,  era pienamete fondato e  il Governo per evitare ricorsi e cause ha modificato la legge cancellando un giorno di riposo per l'anno 2011
 e qualificando il 17 marzo come giorno a tutti gli effetti festivo
 Vince la Confindustria e la Lega che volevano una festa a costo zero (pagata dai lavoratori e dalle lavoratrici), vince la retorica dell'unità d'Italia e di un risorgimento che serve per occultare la realtà quotidiana fatta di perdita del potere di acquisto e di contrattazione, di disoccupazione, di guerra travestita da missione umanitaria, di beni e servizi privatizzati e sottratti al comune.
 
Per i lavoratori e le lavoratrici che hanno lavorato il 17 marzo, ferma comunque la perdita di uno dei giorni di riposo di cui a legge 937/1977 e CCNL, dovrebbero  quantomeno applicarsi le maggiorazioni previste dal CCNL per il lavoro in giorno festivo.
Lo sportello legale dei Cobas è a disposizione per queste istanze e richieste