22 febbraio, 2008

Riforma della struttura contrattuale: di male in peggio….

Nei giorni scorsi Cgil Cisl e Uil, hanno presentato le “linee di riforma della contrattazione”, iniziando a raccogliere firme per il recupero del potere di acquisto di salari e pensioni. Il documento presentato traccia le linee di un vero e proprio nuovo patto sociale che, addirittura, rivede in peius gli accordi del luglio 1993 e accoglie in toto la ricetta tanto cara alla Confindustria: liquidazione del contratto collettivo nazionale e salari agganciati alla produttività.
Ed infatti, lungi dall’ affrontare l’emergenza salariale, i contenuti del documento di CGIL, CISL e UIL, costituiscono, invece, l’ennesimo attacco alla condizione salariale di milioni di lavoratori pubblici e privati….

I due livelli di contrattazione

Gli assi su cui si basano le linee di riforma della struttura contrattuale, sono 2:
1) il ridimensionamento del Contratto collettivo nazionale (CCNL), ridotto ad un semplice “centro regolatore dei sistemi contrattuali a livello settoriale”;
2) il potenziamento del secondo livello di contrattazione, anche attraverso misure aggiuntive di detassazione, per accedere al quale, sarà necessario raggiungere determinati parametri di “produttività, qualità redditività, efficienza”.
In sintesi, si vuole smantellare il CCNL e quegli elementi universalistici e di solidarietà di cui è portatore, non prevedendo più aumenti salariali (se pur miseri) uguali per tutti, ma bensì ancorando il salario al raggiungimento di determinati parametri. Nella sostanza, quindi, si scarica il rischio dell’ organizzazione del lavoro o il rischio di impresa nel settore privato, sui lavoratori stessi, trasformandoli in lavoratori a cottimo.
Insomma, CGIL, CISL e UIL, dopo aver falcidiato le nostre retribuzioni con la sottoscrizione degli accordi del luglio 93, che hanno ingabbiato gli aumenti contrattuali al rispetto dell’inflazione programmata (nella sostanza ciò ha comportato una perdita secca del 30% delle retribuzioni dei dipendenti pubblici negli ultimi 16 anni), invece di rafforzare il CCNL liberandolo dalla gabbia dell’inflazione programmata, si vogliono liberare del CCNL!!
La verità è che negli ultimi 16 anni abbiamo perso ogni meccanismo di adeguamento delle retribuzioni al costo della vita.
Nel 1993 si sono inventati la c.d. inflazione programmata per dispensare aumenti salariali irrisori, oggi, nelle linee di riforma della struttura contrattuale, si inventano “la inflazione realisticamente prevedibile” (ma qual è la differenza?!).
Non una parola sulla reintroduzione della scala mobile quale unico strumento per salvaguardare il potere di acquisto dei salari falcidiato dall’aumento del costo della vita!
A questo si aggiunga che tra le linee di riforma è previsto anche il passaggio della biennalità alla triennalità dei rinnovi contrattuali: da un lato si dice di voler aumentare le retribuzioni, e dall’altro si allungano i termini per i rinnovi contrattuali!!
Non una parola viene poi spesa sui processi di privatizzazione ed aziendalizzazione, limitandosi a parlare di rafforzamento delle normative su appalti, cessioni di rami di azienda.
Ma di quali normative stiamo parlando, visto che aumentano incidenti, morti sul lavoro e sfruttamento, mentre salari e pensioni diminuiscono progressivamente?
E che dire poi dei contratti applicati agli esternalizzati che sono contratti da fame costruiti (come quelli delle cooperative e del multiservizi) solo per ridurre gli stipendi? Di queste ed altre cose non si parla nelle “linee guida”!
Cade, poi, il mito della indennità di vacanza contrattuale come strumento per dare certezza al rispetto delle scadenze contrattuali, e si parla di generiche penalizzazioni in caso di ritardo nei rinnovi.
Anche in questo caso viene aggirato il vero problema: se veramente CGIL, CISL e UIL hanno a cuore il rispetto della tempistica dei rinnovi contrattuali, sarebbe sufficiente stabilire un aumento automatico delle retribuzioni alla scadenza dei termini per i rinnovi contrattuali. Allora sì che i contratti sarebbero firmati rispettando le scadenze!

La riduzione delle tasse sul lavoro dipendente.

Tutto il fronte sindacale e politico, sembra aver trovato la ricetta miracolosa per rilanciare le retribuzioni: ridurre le tasse sul lavoro dipendente.
Ma cosa c’entra la riduzione dell’imposizione fiscale con il potere di acquisto dei salari?
Assolutamente niente!!
Semplicemente si vuole elargire qualche manciata di euro ai lavoratori dipendenti attraverso una riduzione delle tassazione, facendo ricadere l’accrescimento delle retribuzioni sulla fiscalità generale (magari poi provvedendo a tagliare i servizi sociali).
Altro che redistribuzione del reddito, in questa maniera le Amministrazioni pubbliche e le imprese non tirerebbero fuori dalle loro tasche neanche un euro per dare respiro ai nostri stipendi!
Senza considerare, poi, che, una volta abbassata l’aliquota sui redditi da lavoro dipendente, rimarrebbe irrisolto il problema principale: l’adeguamento delle retribuzioni al costo reale della vita.

Lo smantellamento del CCNL costituisce un ulteriore attacco alle retribuzioni dei lavoratori pubblici.
La riduzione delle tasse è la classica foglia di fico, e non restituirà tutto ciò che ci è stato sottratto in 16 anni di concertazione.

L’unico strumento per adeguare i nostri salari al costo della vita è la reintroduzione della scala mobile.