27 gennaio, 2009

Il pessimo accordo quadro sul modello contrattuale siglato da Confindustria, governo, Cisl, Uil e Ugl

L’accordo del 22 gennaio sul nuovo modello contrattuale traccia le linee di un vero e proprio nuovo patto sociale che, addirittura, rivede in peius gli accordi del luglio 1993 e accoglie in toto la ricetta tanto cara alla Confindustria: liquidazione del contratto collettivo nazionale e salari agganciati alla produttività. Ed infatti, lungi dall’ affrontare l’emergenza salariale, l’accordo avrà ripercussioni negative sul potere di acquisto e di contrattazione dei lavoratori italiani, del pubblico e del privato, una intesa che fa solo gli interessi di Confindustria, delle imprese, del
governo e delle organizzazioni sindacali conniventi. L’asse su cui si basano le linee di riforma della struttura contrattuale, sono il ridimensionamento del Contratto collettivo nazionale (CCNL), rispetto al secondo livello di contrattazione, anche attraverso misure aggiuntive di detassazione, per accedere al quale, sarà necessario raggiungere determinati parametri di “produttività, qualità, redditività, efficienza”. Si vuole smantellare il CCNL e quegli elementi universalistici e di
solidarietà di cui è portatore, non prevedendo più aumenti salariali (se pur miseri) uguali per tutti, ma bensì ancorando il salario al raggiungimento di determinati parametri. Il CCNL diventa di conseguenza strumento principale della riduzione del potere d’acquisto dei salari dei lavoratori, con il superamento di fatto della titolarità negoziale delle categorie. Insomma i firmatari governativi e CISL, UIL, dopo aver falcidiato le retribuzioni con la sottoscrizione degli accordi del luglio 93, che hanno ingabbiato gli aumenti contrattuali al rispetto dell’inflazione
programmata (nella sostanza ciò ha comportato una perdita secca del 30% delle retribuzioni dei dipendenti pubblici negli ultimi 16 anni), invece di rafforzare il CCNL liberandolo dalla gabbia dell’inflazione programmata, si vogliono liberare del CCNL!! Il CCNL, con l’accordo, dura tre anni per la parte economica e per quella normativa, un anno in più per far risparmiare solo i datori di lavoro e sottrarre salario ai lavoratori: da un lato si dice di voler aumentare le retribuzioni, e dall’altro si allungano i termini per i rinnovi contrattuali!! Non una parola sulla reintroduzione della scala mobile quale unico strumento per salvaguardare il potere di acquisto dei salari falcidiato dall’aumento del costo della vita! Il contratto collettivo nazionale ne esce fortemente indebolito, infatti con la scusa della via sperimentale e temporanea potranno essere cambiati in peggio o sospesi (le cosiddette deroghe) importanti istituti contrattuali “per favorire lo sviluppo economico ed occupazionale”, con una derogabilità totale nei comparti pubblici. Nel settore pubblico le risorse da destinare agli incrementi salariali saranno decise dai Ministeri e concessi
”gradualmente e compatibilmente “secondo i limiti stabiliti dalla legge finanziaria e potranno essere variabili e legati alla redditività e alla produttività. Quindi gli aumenti di 40 euro al mese da poco stanziati per i contratti pubblici varranno anche per i prossimi anni. Al posto del tasso d’inflazione programmata il costo della vita viene determinato con un nuovo indice previsionale IPCA (indice dei prezzi al consumo in ambito europeo) che viene sterilizzato dei beni energetici importati, quindi, con un valore più basso. Il recupero salariale rispetto all’inflazione reale avverrà nel privato nel corso del contratto vigente, nel pubblico addirittura nel corso del triennio
contrattuale successivo. Per evitare ogni conflitto sindacale, saranno stabilite alcune regole atte a limitare il diritto di sciopero in particolare per le aziende dei servizi pubblici locali e, relativamente al secondo livello di contrattazione, determinando l’insieme dei sindacati rappresentativi della maggioranza dei lavoratori che possono dichiarare sciopero dopo i cosiddetti periodi di tregua sindacale per consentire il regolare svolgimento del negoziato (nei fatti per impedire scioperi e mobilitazioni utili a strappare intese con più diritti e soldi). Vengono rilanciati gli enti bilaterali dove imprese e sindacati allineati potranno gestire la concertazione, i loro interessi e gli affari comuni. Questa intesa aggrava le condizioni di vita dei lavoratori, affossa il
potere di acquisto dei salari e indebolisce il potere di contrattazione. Respingere e mobilitarsi contro questa intesa è necessario e doveroso, per veri aumenti salariali adeguati al costo della vita e per la reintroduzione della scala mobile.

21 gennaio, 2009

Agenzia Entrate - Tra FPS e riorganizzazione

Il 2009 è cominciato ancora peggio di come era finito il 2008. Abbiamo sul tappeto due questioni che stanno prendendo la consueta piega negativa.

L’accordo nazionale dellFPS 2007 è stato catapultato dal tavolo nazionale negli uffici e piano piano lavoratori e RSU locali si stanno rendendo conto di ciò che comporta. L’accordo recita che “…per la classificazione delle attività degli uffici per il 2007 devono essere utilizzati gli stessi parametri adottati per il 2006…”. Insomma, il solito accordo sperequativo che, per quanto riguarda la produttività, suddivide le attività lavorative del personale degli uffici in 6 fasce/parametri, quelle delle Direzioni Regionali in 5, quelle degli uffici centrali in 4. E questo, in aggiunta al fondo di sede, costituito dalla solita miriade di indennità, che comportano l’inevitabile spezzatino salariale e la

divisione tra lavoratore e lavoratore. Unica nota positiva è che, per il residuo del fondo di sede, la valutazione del dirigente rimane fuori dall’accordo. Ma la cosa più grave è che, sulla falsariga dell’ultimo contratto nazionale, gli accordi decisi dall’alto, sono automatizzati per la periferia. Quindi, ci troviamo di fronte all’obbrobrio di espropriare le RSU e i delegati sindacali locali da qualsiasi forma di trattativa: insomma la suddivisione della quota di salario accessorio avverrà semplicemente inserendo i dati contabili e le presenze in una novella procedura informatica. Con le RSU a svolgere il ruolo di notai… L’emergenza salariale e la “fretta” di arrivare agli accordi non giustifica l’azzeramento del ruolo delle RSU, che ora non possono più entrare neanche nei contenuti della trattativa locale.

Un ringraziamento alle OO.SS. nazionali, per quest’ultimo accordo, è doveroso!

RIORGANIZZAZIONE. Ribadiamo che non era mai successo che una legge dello stato, la legge 133 di Brunetta, fosse applicata e peggiorata con tale celerità. Nel giro di un paio di mesi sono stati “cambiati” i Direttori Regionali e sono stati rimossi i dirigenti “in esubero”, eludendo le ragioni di cassa, dato che per gli “esodi incentivati” ogni dirigente rimosso godrà di decine e decine di migliaia di euro, tra l’altro in netta contraddizione con lo strombazzato deficit statale e con i salari dei lavoratori che hanno “goduto” per il 2008 di una media di arretrati di 90-100 euro lordi di media, cadauno. Ma se il buongiorno si vede dal mattino, assai preoccupante è lo scenario che si

abbatterà a breve sia negli uffici centrali con accorpamenti/soppressioni/ridimensionamenti tutti da definire, che negli uffici locali con la nascita delle “mitiche” Direzioni Provinciali.

Se le funzioni lavorative del controllo, come pare, saranno accorpate, ci potremmo trovare, a breve, di fronte a mobilità consistenti che, nelle grandi città saranno devastanti, e a una confusione dei programmi/carichi/modelli di lavoro che migran tranquillamente dall’integrazione/polifunzionalità di funzioni e processi a tutti i costi, alla specializzazione tout court di uffici, aree, settori, competenze, tipologie di contribuenti ecc. Insomma si prospetta un crollo dell’organizzazione del lavoro (…e prima che si riorganizzi…) e un depotenziamento complessivo e definitivo della lotta all’evasione fiscale .

Se invece le funzioni del controllo rimarranno demandate in quota parte agli uffici, non si capisce il senso di tutto questo bailamme, dovendo tra l’altro architettare un’organizzazione ancora più complicata e ingestibile tra uffici e Direzioni Provinciali.

E comunque, i nascituri Uffici Territoriali rimarranno ancorati nella forbice della “frontiera calda” con i contribuenti e del “recinto deprofessionalizzato” per i lavoratori, col rischio nei prossimi annii esternalizzazioni verso il privato e, se va bene, verso gli enti locali (vedi vicenda Agenzia del Territorio

- Catasto).

Di fronte a tutto ciò, non bastano rituali comunicati sindacali o effimer richieste di convocazione che, quand’anche fossero esaudite, relegherebbero comunque i soggetti sindacali in causa al solo ruolo di testimoni di questo processo “riorganizzativo”.

C’è bisogno d’altro e subito, c’è bisogno di una sensibilizzazione sui pericoli incombenti della riorganizzazione

e di una urgente mobilitazione per difendere i diritti dei lavoratori, per avere garanzie sulla mobilità, sul salario, sulle mansioni, sulla riqualificazione e sulla formazione. Insomma, c’è bisogno di cominciare a risalire la china.